domenica 11 novembre 2012

ultime al cinema

Cinema: l'ultimo di Bertolucci una delusione, insiste troppo con questa estetica minimal poetico puberale in spazi ristretti, raffinate e nostalgiche calligrafie di un anziano spirito nobile su tematiche adolescenziali..preferivo il Bertolucci epico..ma anche quello del Conformista.. Non male Argo di Affleck, Tehran ottimamente ricostruita, anche l'ambasciata USA (sempre che sia una ricostruzione,
 ma non credo abbiano girato direttamente) che oggi si chiama DEN of USA, una specie di museo della cacciata degli statunitensi dal paese.
Belve di Stone sfiora il ridicolo, Stone non si è accorto che non deve più superare Tarantino in rappresentazioni pulp, gli anni novanta sono passati da un pezzo e il doppio finale è proprio kitsch..unico merito: parlare della crudeltà dei narcos..

sabato 13 ottobre 2012

La cultura è morta. Il funerale è a Viterbo di Manuel Anselmi | pubblicato per il sito del Fattoquotidiano.it il 22 aprile 2012


Oggi finisce la settimana nazionale della cultura e io ieri ero al Funerale della cultura di Viterbo, sia come rappresentante del Movimento Quinto Stato sia come semplice cittadino. Vedere centinaia e centinaia di persone sfilare per le strade di una cittadina di provincia, manifestando silenziosamente è stata una vera emozione. Soprattutto per chi conosce questa città e questa provincia, così difficili sul piano della promozione culturale. Quello che ho visto era uncordoglio allegro. Un misto di tristezza e di entusiasmo. Tristezza per la chiusura del Cinema Trieste, ennesimo luogo storico che se ne va. Entusiasmo per la reazione condivisa, per l’indignazione collettiva ritrovata, per il fatto che è possibile un fronte trasversale di persone che dica basta alle logiche di impoverimento culturale della città.
“Viterbo si è svegliata!” ha detto Marco Trulli, uno dei coordinatori. È vero. Viterbo può svegliarsi. Una città dormiente per troppo tempo. Troppo disabituata alla partecipazione cittadina e alla rivendicazione sociale, al punto che prima di ieri qualcuno aveva addirittura ipotizzato strambidietrologismi (anticlericalismo, solito antagonismo di sinistra e cose del genere) nel tentativo di spiegarsi il perché di una semplice e sana protesta cittadina. La normalità di una reazione civile ad alcuni sembra ancora un evento anomalo manipolato: e questo la dice lunga sul sonno democratico.
Ma ieri hanno sfilato bambini, genitori, compagnie teatrali, insegnanti,associazioni culturali, provenienti anche dalla provincia. Nessun eversivo, nessun radicale, nessun mangiapreti ( ma poi esistono davvero?). Io ho visto molte persone che non si conoscevano e che si sono conosciute in piazza per condividere una indignazione. Incoraggiarsi. Incazzarsi. Sorridere. E con un solo obiettivo: difendere gli spazi culturali, difendere la cultura della propria città. Ma quale cultura? La cultura  come bene comune e non come privilegio o concessione dall’alto. La cultura quotidiana, quella che forma, le persone, che alfabetizza i cittadini alla musica, al teatro, al cinema, quella dei piccoli cineclub, delle compagnie teatrali amatoriali, dei laboratori per bambini. Che prepara il pubblico, che scopre i talenti. La cultura che prepara il gusto delle persone nella quotidianità, senza guardare all’estrazione sociale, alla nazionalità. La cultura del lavoro culturale silenzioso di operatori umili, assidui e appassionati. Che è l’altra faccia della cultura degli eventi e dei mega festival che troppo spesso servono a legittimare manovre politiche nazionali, che nascono da funamboliche cordate di sponsor, che prevedono il cittadino al massimo in forma di spettatore.
Quello che è successo ieri a Viterbo è della stessa natura di quello che è successo l’estate scorsa al Teatro Valle, poi a Napoli allo Spazio La Balena, e di recente a Palermo al Teatro Garibaldi. Lavoratori della conoscenza che vogliono riappropriarsi dei tradizionali spazi cittadini  per fare il proprio lavoro, per offrire ai ragazzi e non solo, la possibilità di trasmettere le proprie conoscenze, e ristabilire quel sano (e democratico) rapporto tra cittadini e intellettuali. Una città è viva se è degli artisti diceva qualcuno. Una città con teatri chiusi, con musei in degrado, con intellettuali che lavorano altrove come esuli, con sporadici eventi estivi, è una città che muore nei centri commerciali e nei multisala. Consegnando i propri cittadini all’abbrutimento. Per fortuna, da ieri, c’è tanta gente allegra e forte che dice: “ No, grazie. Noi Viterbo la vogliamo diversa, colta, allegra  e colorata”.

P2 e dittatura argentina di Manuel Anselmi | pubblicato per il Fattoquotidiano.it il 23 marzo 2012


Oggi e domani, dopo due anni di lavoro, nell’ambito dell’omonimo congresso, viene presentato nella sede della Facoltà di Scienze della Formazione di Roma Tre il libro Affari nostri diritti umani e rapporti Italia-Argentina 1976-1983, a cura di Claudio Tognonato, edito da Fandango Libri.
Si tratta di una ricerca storica e sociologica che ha coinvolto numerose università argentine e italiane ed ha permesso di ricostruire i rapporti tra Italia e Argentina nel periodo buio della dittatura argentina, che ad oggi conta più di 30000 desaparecidos e che proprio domani 24 marzo celebra il suo anniversario in una tragica concomitanza con l’anniversario delle Fosse Ardeatine.
Il libro vede tra gli autori, oltre a storici e accademici, anche testimoni privilegiati di quegli anni come Enrico Calamai, console italiano negli anni della dittatura, che aiutò numerosi italiani a fuggire e per questa ragione fu rimosso, o come Sergio Flamigni, senatore e studioso delle formazioni eversivedegli anni Settanta. Il libro dedica, infatti, ampi capitoli ai legami tra la P2 di Licio Gelli e il governo dittatoriale argentino. Come spiega nell’introduzione il curatore del volume Claudio Tognonato, professore di Sociologia all’Università degli Studi di Roma Tre “Nel nostro paese sono gli anni d’oro della Loggia P2. Licio Gelli aveva costruito il proprio potere intrecciando interessi italiani e argentini, prima con Perón e López Rega, poi con Massera e la dittatura. La Commissione parlamentare che indagò sulla Loggia massonica segnalò la necessità di approfondire i rapporti internazionali della P2. Noi, consapevoli dell’enorme difficoltà, abbiamo accettato la sfida e abbiamo cercato di fare qualche passo in quella direzione.
Il convegno vedrà, tra gli altri, la presenza di Vittorio Cotesta, Gaetano Dominici, Sergio Flamigni, Enrico Calamai e Giuliano Turone. E avrà un ospite d’eccezione: il giornalista argentino Horacio Verbitsky, autore di numerose importanti inchieste sul ruolo della chiesa cattolica durante la dittatura e celebre per Il volo, libro in cui ha raccolto la prima confessione da parte di un gerarca della dittatura che ha permesso di fare luce sulle tremende tecniche di tortura e sparizione dei dissidenti al regime. E che anni dopo vennero rappresentate nel bellissimo film di Bechis Garage Olimpo.

8 marzo su Internet: processo per stupro di Manuel Anselmi | pubblicato sul Fattoquotidiano il 8 marzo 2012


C’è un video che sta girando in internet durante questo 8 marzo 2012 che merita una considerazione particolare: un estratto Rai delle riprese del primo processo per stupro trasmesso dalla televisione italiana nel 1979.
Nelle testimonianze e nelle voci che si alternano nel filmato ci sono due Italie e due modi di essere socialmente donna: da un lato c’è quello della donna che è tale secondo il “dominio maschile” assoluto dei padri padroni, dei fratelli coproprietari, dei vitelloni e dei playboy alla matriciana, dall’altra c’è la donna che è tale secondo se stessa, secondo la sua volontà, le sue aspirazione, la sua differenza e la sua intelligenza.
Quel processo fu un evento rivoluzionario nell’immaginario sociale italiano, senza se senza ma. Fu una di quelle fratture che fanno bene a un popolo perché fanno pensare, discutere e ragionare insieme. Se il movimento dei neri americani ricorda epicamente Rosa Parks che si rifiutò di lasciare il proprio posto sull’autobus a un bianco, una nuova cultura di genere in Italia dovrebbe ricordare allo stesso modo quel processo. Come il punto di non ritorno di un modo di essere maschi tutto all’insegna della forza.
In quelle immagini in bianco e nero c’è un passaggio di civiltà e per questo va custodito. È quasi commovente, a più di trentanni di distanza, vedere quella che sarebbe diventata poi “l’avvocato delle donne” per eccellenza, Tina Lagostena Bassi, smontare con asciuttezza e determinazione le illogiche argomentazioni del difensore degli stupratori che trovavano fondatezza e coerenza solo nella peggiore mentalità maschilista.
L’idea di mandare in onda sulla Tv di Stato un evento del genere fu, al momento, una scelta di grandissima intelligenza. E fu un’intuizione delle donne. E come riporta Wikipedia “L’idea di documentare un processo per stupro nacque in seguito ad un Convegno Internazionale femminista sulla “Violenza contro le donne”, tenutosi nell’aprile del 1978 nella Casa delle donne in via del Governo vecchio, a Roma. In quel convegno emerse che ovunque nel mondo, quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata. Loredana Rotondo, programmista alla Rai, propose a Massimo Fichera, allora direttore di Raidue, di filmare un processo per stupro in Italia. Il documentario “Processo per stupro”, registrato al Tribunale di Latina, diretto da Loredana Dordi, fu seguito da nove milioni di telespettatori. Con il titolo inglese “A Trial for Rape” fu presentato al festival di Berlino, insignito del Prix Italia for documentaries e ricevette una nomination all’International Emmy Award. Se ne conserva oggi una copia al Moma di New York”
Era il 1979, entrando in un tribunale la Tv italiana aveva la pretesa di svolgere una funzione civilizzatrice del paese veicolando modelli culturali capaci di aprire spazi di libertà alle singole persone, e in parte ci riusciva.
Oggi, in tempi di videocrazia e donne farfalline e veline, sarebbe forse il caso che per difendere i diritti delle donne e un sano equilibrio tra i generi, portassimo questa volta la televisione e i media davanti al tribunale, ma quello della ragione. Come si va dal gommista quando c’è bisogno della convergenza, come si va dal meccanico quando il motore va fuori fase. (Le metafore volutamente maschili sono calibrate sui destinatari).

Un poetico requiem per Lucio Dalla di Manuel Anselmi | pubblicato sul sito del Fattoquotidiano il 5 marzo 2012


La Chiesa aveva proibito le canzoni di Dalla al suo funerale, ma è successo di più, anzi di meglio: il suo compagno, in qualità di collaboratore (che escamotage intelligente e simpatico, degno della brillantezza di Dalla e della migliore goliardia bolognese) ha potuto leggere un testo del cantautore defunto, forse tra i più belli. Lo potete trovare su internet.

Il titolo “Le rondini” evoca già una leggerezza che fa invidia a qualsiasi uomo di Chiesa che si metta a commentare le parole del Cristo per spiegarci l’amore.

A me però, quando l’ho visto, ha ricordato un altro celebre e bellissimo poetico requiem (se così si può definire), quello dei famosi versi di Auden in un film memorabile…

Ammettiamolo: anche ai nostri occhi eterosessuali e “normali”, di chi ha il privilegio dell’aristocrazia dei sentimenti e dell’impunità della loro ostentazione, l’amore omosessuale davanti alla morte ha una tragicità maggiore e forse più autentica, specie se il contesto è una chiesa.

E’ un po’ la confessione di chi dice “fin qui, noi due, ce l’abbiamo fatta, nonostante tutto e tutti”. La testimonianza rara di un romanticismo eversivo.

Su, via, ammettiamolo: non ci fa vergognare dei tanti programmi televisivi pieni di vuote parole d’amore ronzanti come mosche?Delle stupide rime delle canzonette commerciali? Del pudore teorizzato, proclamato e sempre ipocritamente realizzato? Della banalità del chiacchiericcio sulle coppie che scoppiano e si riaccoppiano col solo gusto di poterne parlare davanti a una telecamera ?

Precari di tutto il mondo unitevi! di Manuel Anselmi | pubblicato sul sito del Fattoquotidiano il 19 dicembre 2011


Sembrerà una semplice battuta, ma molto probabilmente sarà una delle più grandi novità dei prossimi tempi, forse addirittura del prossimo anno. Cosa? Il sindacato italiano dei precari, anzi dei freelance. Sull’esempio della Freelancer Union americana ideata da Sara Horowitz.
Alle 16.00 di oggi a Roma, presso lo spazio Porta Futura, via Galvani 108, durante la presentazione del libro la Furia dei Cervelli, di Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri, inizierà infatti la non facile gestazione per la nascita del sindacato italiano dei freelancer, dei freelance worker, insomma di quel sempre più numeroso esercito di lavoratori che vengono definiti “atipici”. Perlomeno da quando nel 1997 l’allora ministro del lavoro Tiziano Treu (oggi Pd), introdusse quelle forme contrattuali parasubordinate che hanno decretato l’inizio della flessibilità anche in Italia. Poi venne la riforma Biagi e quello che conosciamo bene. E oggi si contano più di sei milioni di unità. Per lo più giovani, ma non solo, che lavorano senza alcuna tutela e con una progettualità individuale minima. Vite tattiche all’insegna del rischio, verrebbe da dire.
All’appuntamento saranno presenti numerosi sigle e associazioni che già lavorano in questo senso, come Acta, Aiap, ma anche realtà come i ragazzi del Teatro Valle, che addirittura con la loro esperienza di occupazione sperimentale e creativa hanno ispirato un capitolo del libro di Ciccarelli e Allegri. Un saggio-inchiesta in cui i due giovani filosofi precari e fuori dal sistema accademico (sebbene vantino numerosi titoli anche con case editrici nazionali, a differenza di molti loro colleghi strutturati), tracciano le linee fondamentali di quello che ormai viene chiamato Quinto Stato e che si legge: precari intellettuali, lavoratori della conoscenza, produttori di competenze, operatori del sapere. Un libro che dà maggiore sostanza teorica al movimento degli indignados riportando al centro il tema cruciale e drammatico del lavoro e della sua rappresentanza politica e sociale.
Chi avrà avuto modo di andare su internet questi giorni avrà avuto anche modo di leggere uno statusalquanto significativo del Popolo Viola: “Nel 1997, quando introdussero in Italia la cosiddetta “flessibilità” del lavoro, ci dissero che era urgente e necessaria per creare occupazione per i giovani. Sono passati 14 anni, il lavoro non c’è e siamo tutti precari. Oggi ci dicono che è necessario fare di più, che occorre introdurre anche la libertà di licenziare per creare occupazione per i giovani. Sarà lecito avere dei dubbi?” Come dargli torto?

Gli indignados cileni e la voce di Camila di Manuel Anselmi | pubblicato sul sito del Fattoquotidiano il 3 dicembre 2011


Camila Vallejo è la ventitreenne leader del movimento degli studenti cileni che da cinque mesi danno del filo da torcere al governo populista e di destra di Sebastián Piñera. Ma ormai è soprattutto uno dei volti simbolo di quel movimento globale che viene chiamato degli Indignados, e che va dai ragazzi di Occupy Wall Street, agli Indignados spagnoli ai nostri Draghi Ribelli. Tutti chiedono di rivedere gli effetti sociali devastanti del più spregiudicato neoliberalismo. Tutti dicono che si esce dalla crisi solo cambiando profondamente il paradigma delle nostre società. E tutti invocano questo cambiamento cominciando da maggiori possibilità per i ragazzi, per loro stessi, chiedendo una educazione gratuita, contrastando la mercificazione delle conoscenze e la diseguaglianza sociale. Combattono il capitalismo per umanizzarlo e impedire al mercato di trasformare in luogo di profitto ambiti e settori sociali che dovrebbero essere solo dei beni comuni: l’educazione, la sanità, le risorse, l’acqua in primo luogo, il futuro della comunità.
Stasera durante la trasmissione In Onda, condotta da Nicola Porro e Luca Telese, alle ore 20.30 su La7, verrà trasmessa una parte dell’intervista a Camilla Vallejo che ho realizzato con il fotografo e videomaker Luciano Usai.